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Significato e significante
Simbolo anziché parola
la vita, la morte
Il maschile, il femminile

Gustav Klimt con i suoi innumerevoli colori è in grado di catturare l’attenzione dei più.
Egli muove sentimenti di grande intensità e valore ed una moltitudine di pensieri talvolta tenuti taciuti.
Un uso preponderante del colore, unito alla straordinaria capacità dell’utilizzo del simbolico, fanno di questo pittore un artista di grande calibro, che ha saputo caratterizzare ogni sua rappresentazione in maniera univoca rendendola chiaramente identificabile per stile ed espressione. Colori e simboli, sembrano fondersi gli uni con gli altri in un unico concetto visivo allo scopo di penetrare lo spettatore in maniera incisiva. Utilizza il simbolo come strumento per un approccio più intuitivo dell’oggetto, che porti naturalmente lo spettatore a cogliere il valore generico dell’insieme simbolico non su un piano prettamente analitico, appannaggio di pochi, ma su un piano pre-razionale e pre-linguistico che attivi in maniera preponderante l’automatismo della comprensione inconscia. Egli è più istinto che ragione, è il suo significato per-logico, pre-verbale, arcaico, capace di arrivare ad ogni essere umano indipendentemente dalla propria cultura e/o erudizione. Una polisemia raccontata da colore e simboli è il modo che Klimt utilizza al fine di far sentire l’opera, che diviene sinestesia nella quale riversare l’universalità simbolica tutta, raggiungendo lo spettatore da ogni parte. Superando sia la pittura accademica tanto in voga a fine 800, che quella impressionistica francese, e dando nuova vita e colore al simbolismo, l’artista ostenta un cambiamento della scena immaginativa e fantastica dell’osservatore del tempo, svelando, attraverso il simbolico, pulsioni, paure e desideri. Egli non si nasconde dietro false pitture e mostra senza veli, sia la sessualità, nell’espressione della donna come musa ispiratrice, raffigurata in varie posizioni, che morte, vita, rientrando di merito in quella cultura sempre più pronta ad affrontarsi intimamente e famelica di grande cambiamento.

Klimt, contemporaneo di Freud, ha certamente subito gli influssi della psicanalisi, cosi prepotentemente emergente con le sue nuove teorie. E’ infatti nel 1901 che Freud scrive “psicopatologia della vita quotidiana” quasi a voler comporre egli stesso un quadro rappresentativo del rappresentato dei pittori, ed in una Vienna di fine ottocento, nella quale svettano nuove conquiste scientifiche, biologiche e scoperte in ambito medico, la nuova arte si afferma e si dichiara, spavalda, portatrice del nuovo voler vedere il nascosto, ponendo l’accento quindi sui grandi temi dell’eros, della psiche, delle energie di vita e di morte. Uno dei dipinti, risalente al 1908-1913 è cosi intitolato: “vita e morte”. E’ un quadro allegorico di entrambi i concetti ove appare ben visibile la dicotomia tra il significato ed il significante, tra quello che appare e quello che è interpretabile, tra colori e spazi. L’opera, realizzata con imponenti misure, porta lo spettatore a soffermarsi sull’importanza che il pittore desidera attribuire al tema che andrà a trattare. La rappresentazione del dipinto appare subito in tutta la sua maestosità, quasi a voler inondare lo spettatore con significativo silenzio proprio di “chi dorme”. Il quadro ha una dimensione considerevole, sfiorando i due metri x 1,78, permette quasi di potervi entrare a farne parte per esserne inglobati come elemento integrante di quello stesso colore e del suo voler dire. Colori dominanti caldi, si contrappongono a colori freddi, parte destra si contrappone a quella sinistra, il significato dell’una si contrappone al significato dell’altra parte. Ed è proprio questa contrapposizione che permette l’oscillazione da una posizione all’altra
ed il conseguente evitamento della visione globale d’insieme, si evita l’integrazione, la quale sopraggiunge in seguito, nel lento svelarsi dell’identità simbolica delle due dimensioni, facendo passare lo spettatore dalla posizione schizzo paranoide di alternanza a quella depressiva con l’integrazione delle due parti, per usare termini Kleiniani. Il dipinto, olio su tela, è rappresentativo di due soggetti ben distinti e distanziati nello spazio. Quasi soli ed isolati da ogni contesto, avvolti nel grigio, colore che per antonomasia non mostra alcuna vivacità emozionale ma porta in se l’assenza di tutto, le due immagini svettano in un groviglio di colore e significato. Due metà in senso verticale che rappresentano un tutto.
La prima che colpisce è la vita, posta sulla destra, essa si impone con i suoi toni caldi carichi di suggestione e dinamismo. Il colpo d’occhio, spinge istintivamente lo spettatore all’oggetto posto sulla destra della visione dove, non a caso, l’artista rappresenta la vita, sottolineando così, quel naturale attaccamento che egli esseri viventi dimostrano di possedere verso l’esistenza, quella spinta autonoma diretta alla conservazione della specie e su tutto ciò che è portatore di vita. Quest’attrazione primordiale per la vita, sembra quasi atta a voler eludere la morte attraverso un semplice meccanismo di estromissione visiva irresponsabile e immaturo che quindi risulta essere ben poco efficiente. Immediatamente dopo la morte, a seguito della vita, si afferma allo sguardo dello spettatore, per tinta scure e forma lunghe contrapposte alla vita raccontata con colore caldo e forma circolare. Eccola, una silente presenza appare sulla sinistra, una figura sottile quasi a volersi mimetizzare con la linea della verticalità. E’ blu, colore delle tenebre, della notte, colore che permette agli oggetti di fondersi nell’oscurità per non esser notati ed agire indisturbati. Da un lato la morte e dall’altro la vita, due perfette metà di una stesso motivo che si svelano nella loro pienezza: La vita nelle sue sfaccettature, la nascita, la crescita, la morte. In questa rappresentazione Klimt non sembra voler considerare la morte come appartenete alla vita bensì la considera come qualcosa di estraneo, di lontano, di isolata. La morte occupa un suo spazio ben separato e distinto ed ha forma e colore nettamente contrari alla rappresentazione della vita sottolineando le due estreme nature. Questo suo modo di rappresentarla, in una prima istanza, potrebbe portarci su interpretazioni come il desiderio dell’autore di allontanamento, di non voler vedere, forse pone in essere la sua difficoltà nell’accettarla come parte integrante della sua stessa vita. Una visione più accorta su questa rappresentazione, ci induce invece al pensiero che Klimt desideri attribuire un significato di maggiore importanza rispetto a quanto voglia significarci la vita, infatti ella appare sola, isolata, non ha simili, è unica e maestosa. Appare in una prospettiva più vicina allo spettatore di quanto non lo sia la vita, allungata e magra, è in posizione eretta come a voler mostrare la sua grandiosità, forse una grandiosità virile in quanto il rimando a qualcosa di fallico appare evidente.

È un’immagine accresciuta, allungata, dai contorni morbidi i quali però non tradiscono la propria durezza. Vi è un rimando antropomorfico, spogliata di tutta la carne che tornisce e ammorbidisce la figura umana, rimane solo lo scheletro, la parte più dura del corpo, quella che permette l’erigersi, l’elevarsi, l’erezione. Il simbolismo fallico rispedisce al concetto di potenza e fertilità. Il fallo qui è chiamato a rappresentare la forza dell’ineluttabilità ma anche la genesi. E’ infatti anche dal fallo che scaturisce la vita, la potenza del maschile che riempie il femminile nella procreazione. La morte che si impone sulla vita, sul femminile, il maschio inteso come cacciatore vigile ed attento,dominatore e spargitore di seme all’intero genere femminile. Appare evidente il connubio tra morte e sessualità, in quanto accanto alla pulsione erotica, definibile di vita, vi è una tendenza distruttiva che è immanente alla vita stessa. Sono due pulsioni inscindibili, l’una a servizio dell’altra.
(Per usare le parole di Carotenuto: “amare è un po’ morire” …)
Morte e sessualità sono qui rappresentate l’una dal simbolico evocativo per sua natura, e dall’altra parte quello che l’artista ci fa intendere attraverso il disegno. Il simbolico, molto più imponente del visivo, esprime tutta la sua potenza erotica nella figura disegnata della morte, le linee del disegno utilizzate sono tutte rette, quasi a voler sottolineare nuovamente la potenza sessuale che ella possiede.
Anche il bastone che brandisce nelle mani, pronto a colpire ma che sembra voler utilizzare anche per nascondersi o proteggersi in attesa di posarsi sull’ignaro destinatario, appare di forma allungata, fallica, la potenza nuovamente espressa, questa volta con aggressività,che ricorsivamente il simbolico ci rimanda.
L’immagine che Klimt ci restituisce è qualcosa di lento che è vicino inesorabilmente alla vita, incurante di chi vorrà colpire. Essa infatti non ha preferenza alcuna, adulti bambini, anziani, ogni essere umano è la sua destinazione, non ha nessuna predilezione, e non sembra neanche volersi prendere nessuno, semplicemente esiste al fianco della vita come parte integrante di essa, non si danna e non si affanna.
Questo rappresentazione mi fa pensare anche alla dissoluta vita che l’artista conduceva, una sprezzante passione per il sesso e la paura data dall’idea che questo potesse in qualche modo sovrastarlo.

La vita è invece rappresentata da un intreccio di persone in uno stato di non vigilanza, stanno dormendo, godono di un sonno serafico, quasi indisturbabile, all’apparenza sereno. Raggrovigliate le une alle altre come fossero in un sacco amniotico, massimo simbolismo di vita, non possono accorgersi della presenza della morte, non guardano, non vedono. La vita sembra serena e tutti i personaggi sembrano volersi abbracciare gli uni con gli altri in questo atteggiamento di inconscia e reciproca protezione. Ogni persona è rappresentata in posizione diversa ma tutte sono ripiegate su loro stesse e tutte o quasi, con occhi chiusi come a voler negare attraverso il sonno, la presenza della morte, il non voler vedere.
Il sonno qui rappresentato, mi rimanda ad un desiderio di voler allontanare la morte per la paura che essa rappresenta attuando alcuni atteggiamenti difensivi. La regressione, chiaramente manifestata dalla posizione assunta dai corpi rimanda alla posizione fetale ed è la prima che istintivamente possiamo notare. I corpi appaiono gli uni riversi sugli altri intrecciati e protetti, ricurvi e chiusi come nel grembo materno che sostiene, tutela, protegge. Il diniego, come secondo meccanismo difensivo, è rappresentato dal sonno, dal non volere vedere. Esso racconta di una paura ancestrale che facilmente possiamo riportare alla figura della morte alla quale tutti noi soggiaciamo e della quale temiamo la visione ed al fine di poterla allontanare dalla mente, adoperiamo il sonno, come estremo tentativo di sopravvivere alla paura umana di perdere la vita. Qui l’autore rappresenta, attraverso l’immobilità dei corpi, l’incapacità dell’uomo all’azione contro la morte, un immobilità estremamente vulnerabile la quale è in grado di svelare tutta la fragilità umana espressa nella staticità del soggetto.

A tal proposito mi sovviene un piccolo saggio di Carl Gustav Jung “anima e morte” nel quale l’autore intende indicare gli specifici meccanismi di difesa che costringono la persona a non affrontare il tema della morte e nel non volerla contemplare nel quadro perfetto della vita, evidenziandone cosi una alterità portatrice di sofferenza.
Le paure e le angosce nate da un eventuale confronto con tale pulsione, sono per l’individuo insostenibili per tanto generatrici di fuga come unico sistema salvifico dell’esistenza umana. Il sonno, l’immobilità, l’assenza di pensiero e di parola, esprimono, nel loro non esserci, l’immensa presenza dell’angoscia del dolore.

Viene messa in scena l’unica cosa possibile per l’essere umano a difesa della vita, la negazione del pericolo come tentativo inconscio di sopravvivenza. La staticità espressa come forma di sonno, è qui raccontata come difesa dell’individuo, dormendo non si ravvisano elementi di disturbo .
La vita compie il suo percorso, consciamente ignorante della presenza della morte, dormendo di un sonno apparentemente sereno e tranquillo. E’ un sonno simbolico della serenità e della spensieratezza ma anche rappresentativo della paura, della negazione, del non voler vedere a difesa della propria esistenza. Il sonno diventa una protezione da quello che non possiamo accettare per il carico di dolore che esso rappresenta, un distacco subito e non voluto, qualcosa che si impone nella nostra esistenza verso il quale nulla ci è concesso. L’umanità raccolta in un’unica sacca essenziale, autoprotetta e autoriscaldata dal contatto degli altri viventi e dal loro abbraccio ci consente l’illusione di una salvezza effimera, l’unica protezione di cui disponiamo. Ma nel dipinto non è cosi per tutti, vi è infatti una donna vigile e ben sveglia la quale appare sulla sinistra, più vicina alla morte di quanto non lo siano le altre. Assume un atteggiamento quasi di vergogna si nasconde apparendo dietro le altre. Ha gli occhi aperti, vitrei che nn guardano nella direzione della morte, che nn vedrebbe, ma sembra sentirla. La donna raffigurata ha le mani al collo in atteggiamento apparentemente lascivo, sembra accarezzarsi come a volersi donare. In questo piccolo volto, in un piccolo spazio del dipinto sulla sinistra vicino alla sinistra presenza della morte, anch’essa a sinistra dello spettatore, si nota come quest’ultima, la morte, abbia un suo fascino e di come la vita ne sia talvolta attratta.

Freud ci ricorda di come sia impossibile scindere L’eros da thanatos, le due forze pulsionali che muovono
l’ individuo e di come queste siano intimamente legate, sempre presenti l’una nell’altra, ricorsivamente intense e vive ma estreme ed opposte. L’atto sessuale ne è l’esempio. Esso non prescinde dall’essere carico di significati anche violenti e di sopraffazione, come la morte, per sua natura, appare. Sessualità è l’espressione di un atto di forza è aggressività laddove un qualcosa si impone entrando e generando. La sessualità è espressione di potere, di silente seduzione che si impone sulla vita esercitando su essa fantasie e desideri distruttivi difficili da portare a coscienza i quali sono quindi qui espressi dall’autore, in un contesto protetto quasi a voler attutirne gli effetti. Il sesso viene consumato nel silenzio, spesso nella notte, spesso nel buio, nel non farsi sentire, tutte manifestazioni che riportano al concetto mortifero che il quadro evidenzia.
L’attrazione che la morte ha sulla vita, rimanda ad esempio al dare la vita per l’altro, al voler lasciar morire una parte di se a favore della relazione duale, spingersi oltre la vita in nome dell’amore ad esempio la madre che sacrifica tutta se stessa per il proprio bambino, andare incontro alla morte.

Concludendo, come affermato sopra, morte e vita, non prescindono dall’essere generatrici di pulsioni anche spaventose dalle quali, talvolta, doversi difendere ma dalle quali è impossibile sottrarsi, come ben espresso nel quadro.
Vita e morte sono figure di evocazione più ampia rispetto allo stretto significato, esse riportano al femminile ed al maschile, due entità archetipiche primarie dalle quali scaturisce l’energia sessuale, l’atto fusionale per eccellenza di due metà.
La pulsione distruttiva e generatrice sono al contempo unite e separate come tutta l’opera di Klimt vuole esserne espressione. Si fondono insieme per poi potersi separare ma sempre costanti nel cercarsi e nell’aversi come un atto sessuale che si conclude per potersi ripetere, che vive per poter morire e rivivere nuovamente …
E’ forse questo che l’artista vuole trasmettere, questo dualismo pulsionale umano innato il quale ci spinge ad oscillare ora nell’uno, ora nell’altro verso in un ristretto perimetro di spazio di azione e/o sottrazione.
La morte esistente a conseguenza della vita e nella vita vi è la morte perfettamente integrata.
Eros e thanatos, uomo e donna, maschile e femminile, diventano un tutto che li comprende entrambi, fusi e soli nella continua ricerca di un’espressione simbolica che li identifichi e li unisca e ancora una volta li separi.