Nascono come branca dalla biologia e si espandono in un compendio di più discipline delle quali fanno parte la scienza, la fisica ma anche la medicina, la psicologia, le scienze cognitive, la matematica solo per citarne alcune. Partendo dalla sua composizione cellulare, molecolare, i suoi legami e gli influssi che questi generano sul nostro organismo, del cervello oggi siamo in grado di comprenderne alcuni meccanismi i quali mostrano una stretta connessione con i comportamenti che sovente adottiamo.
Comprendere le neuroscienze significa quindi avere una teoria integrata sul piano fisico e teorico del meccanismo cerebrale e di tutte le parti ad esso connesse, metterle in relazione al fine di intendere meglio il nostro funzionamento e/o il mal funzionamento e in quest’ultimo caso, potervi porre rimedio, condizione imprescindibile per il raggiungimento del benessere globale dell’individuo. A tal proposito, per agevolare la comprensione di meccanismi complessi quali quelli neuronali, “il cervello nel palmo della mano” è un’ottima metafora fisica-visiva, del funzionamento di tale organo. il cervello Rappresentato come fosse una mano disposta a pugno ove ogni suo elemento costitutivo è paragonato a strutture cerebrali, crea una modalità rappresentativa risultata estremamente utile in svariati contesti, dall’educazione, all’insegnamento, ed anche alla psicoanalisi proprio per la semplicità con la quale è in grado di rappresentare legami difficili in maniera semplice.
Tornando al nostro cervello, il neurone è la cellula che compone il nostro sistema nervoso, il quale è l’elemento principe del meccanismo psichico.
La cellula neuronale ha come dovere quello di porre attenzione ai segnali, mettersi in relazione con le altre cellule, interpretare gli stimoli esogeni ed endogeni permettendo cosi al corpo di relazionarsi non solo con l’ambiente esterno ma anche con il nostro mondo interno.
Tutta l’elaborazione cerebrale confluisce al SNC, il risultato non solo di processi biologici insiti nell’individuo, ma l’interazione di quest’ultimo con l’altro e con l’ambiente, la relazione ed il contatto che si ha con il caregiver, il contesto socio culturale nel quale si è immersi, l’insieme di tutti i fattori originano reti neuronali che a loro volta originano la mente.
Non esiste una mente uguale ad un’altra, l’unicità dell’essere umano scaturisce dalla concatenazione dei vari elementi ed è proprio questo concatenarsi, certamente mai uguale per stimoli, desideri, bisogni gli uni agli altri che determina ciò che noi siamo, la nostra unicità nella similitudine umana.
L’apprendimento per giungere a creare quello che siamo è quindi la concausa di più fattori ed è un fenomeno inconscio averbale ed asimbolico, funzionale alla formazione dei pensieri, alle attività cognitive come anche alla motricità ed alla comprensione di essere se stessi nei confronti dell’altro e del mondo, processo che i neuroscienziati identificano come “soggettività.
Nella soggettività rientrano anche le motivazioni che possono indurre l’insorgenza delle emozioni, espressioni esterne dei nostri stati interni i quali risultano in stretta relazione con i nostri pensieri e quindi generate dal cervello. Mediate da neurotrasmettitori, attivati da stimoli, le emozioni risultano essere di fondamentale importanza per guidare i nostri comportamenti nelle più svariate situazioni. Gli studi su Quest’ultime ci riportano di teorie ravvisabili in tre grandi categorie: teorie fisiologiche, biologiche, cognitive.
Per le teorie fisiologiche ebbe particolare rilevanza la teoria espressa da James-Lange la “teoria periferica” secondo la quale l’emozione è una conseguenza dei cambiamenti fisiologici indotti da uno stimolo ed ha una forte radice biologica. Cannon-Bard con la “teoria centrale” in netta contrapposizione con quella precedentemente espressa, rileva tre vie connesse alle emozioni: la via corticale, il sistema limbico, il sistema nervoso, ipotizzava inoltre come i centri di controllo della vita emotiva fossero localizzati centralmente nella regione talamica. Cito Papez con il suo circuito e LeDoux con la scoperta del coinvolgimento dell’amigdala nell’emozione della paura pur sostenendo l’impossibilità di concentrare le emozioni in un unica localizzazione.
Altri studi importanti furono quelli eseguiti da Ekman psicologo statunitense sia sul riconoscimento facciale che sulla classificazione in emozioni primarie e secondarie.
Le riflessioni sull’argomento portano spontaneamente a soffermarmi sulle emozioni positive, le quali risvegliano in me un sentore benefico, qualcosa di caldo che mi pervade e mi inebria, spesso legate a sentimenti che nutro per qualcuno, sia esso un fratello, un fidanzato o un amico, una sinestesia tra emozione e colore che mi induce a vedere la gioia come un arancione intenso che mi invade, la paura come un forte blu, la rabbia come il rosso violento del sangue, emozioni che in me si susseguono originando un grande arcobaleno dal quale scaturisce tutto il mio essere.
Anche l’apprendimento è un processo legato alle emozioni. Quante volte davanti ad una forte impressione, si è compreso meglio se stessi impiegando l’emozione come strumento per evidenziare un limite, una paura, un disagio ma anche una gioia, un piacere.
A tal proposito, uno dei primi lavoro svolti in classe di psicoanalisi è stato proprio quello di ricordare due eventi connessi alla nostra infanzia i quali fossero legati ad una emozione positiva ed una negativa.
Questa semplice rievocazione emotiva ci ha posti nella condizione di constatare, apprendere quindi, quanto sia stato molto più complesso per la maggior parte dei partecipanti, evocare ricordi con annesse emozioni positive nonostante la vita di tutti i partecipanti, fosse costellata di eventi positivi. Pare quindi evidente come sia più facile, per il nostro cervello, rammentare eventi negativi, tristi, i quali ci hanno fatto soffrire e forse hanno lasciato solchi pesanti da rimarginare, ferite ancora aperte le quali possono rievocare il dolore provato in un tempo addietro.
Adducendo una motivazione evoluzionistica la quale vede, come ordine primario la salvaguardia dell’individuo nelle sue parti fisiche e psichiche, il ricordo negativo permette all’individuo di discostarsi da successivi eventi che in qualche modo potrebbero sortire lo stesso effetto allontanandolo così dall’eventualità di commettere nuovamente una data azione la quale potrebbe risultare foriera di un male. Creare e/o aprire nuove o assopite ferite, ci pone nella condizione di dover nuovamente entrare in contatto con la sofferenza, con il dolore che spesso tendiamo a nascondere nella parte più profonda di noi, quasi a volerlo dimenticare in un angolo con la speranza vana, che questo celare comporti la dissoluzione del dolore stesso.
Non tutte le culture tendono a nascondere e mistificare il dolore.
Nell’antica tecnica giapponese della ricostruzione, si narra di come le nostre ferite anziché nascoste, debbono essere, contrariamente a quanto sopra detto, valorizzate.
L’arte Kintsugi pone come elemento riparatore del “rotto” non la colla ma l’oro, materiale prezioso per eccellenza, proprio per porre l’accento su quanto sia stato danneggiato e dargli un valore in termini visivi capace di esaltare non solo il simbolo fisico della sofferenza provata ma porre anche attenzione sulla persona che ne porta i segni.
Il valore assunto da tale pratica pone l’individuo in una condizione di rielaborazione e rivisitazione del dolore stesso facendogli acquisire una consapevolezza capace di andare oltre il subito e approdare all’interno di se stesso con un atteggiamento diverso, non più di silente abbandono ma di felice esaltazione quasi a volersi riscattare con se stesso e con il mondo per il danno avuto.
A livello fisiologico le neuroscienze ci aiutano a meglio comprendere l’origine di questi danni.
Non è da poco il contributo offerto da Damasio ne “ L’errore di Cartesio” qui l’autore entra in netta contrapposizione con gli assunti di Cartesio il quale vedeva una ben distinta separazione tra emozione ed intelletto. Damasio osserva come lesioni a diversi siti cerebrali specifici possano condurre a simili alterazioni nel campo della ragione e del sentimento, suggerendo l’interazione dei sistemi sottesi dai normali processi dell’emozione, del sentimento, del ragionare e del decidere.
Le neuroscienze e le tecniche delle quali la tecnologia si avvale, ci consentono di collocare a livello fisiologico, la sede esatta di taluni ricordi e quindi delle emozioni in modo tale da consentire di comprendere meglio i disturbi legati alla sfera emotiva come ad esempio le fobie, l’ansia, i disturbi post traumatici.
Tali studi evidenziano delle aree del nostro cervello deputate alla conservazione del contenuto emotivo che gli stimoli acquisiscono con l’esperienza. Si tratta della corteccia sensoriale (visive , olfattive,uditiva ) di ordine superiore, a lei dobbiamo la costante capacità di soffrire per il nostro passato in quanto tutto il nostro dolore viene immagazzinato in quell’area.
La corteccia prefrontale mediale invece sembra essere deputata all’attivazione di ricordi con valenza positiva in quanto collegata ai circuiti della gratificazione e delle relazioni.
Spesso è proprio la ricerca di questi circuiti che favorisce l’insorgenza di un determinato comportamento non è sbagliato quindi poter anche disquisire sul come si possa essere in balia delle emozioni, le quali ci vivono costantemente e quotidianamente.
Nella maggior parte delle volte, siamo perfettamente in grado di controllarle o quanto meno di far si che esse non interferiscano con il normale svolgimento delle nostre funzioni ma accade che questo controllo possa perdersi a favore di un forte impatto emotivo ed è qui che la psicoanalisi ci giunge in aiuto nel tentativo di guidare a soluzione comportamenti portatori di disagio.
Nella nostra esperienza di gruppo , è capitato più volte che alcuni partecipanti si lasciassero andare ad emozioni molto intense e non di rado è capitato che alcune lacrime solcassero le loro rubiconde guance lasciando comprendere bene agli astanti, il disagio interno che stava prendendo il sopravvento, spesso legato ad un ricordo.
Situazione nuova per me che ha imposto di fermarmi per comprendere bene e meglio quali fossero le sottostanti motivazioni che spingevano, con così tanto fervore per uscire in quel momento, in quel contesto, in quella situazione. Ho invidiato quelle lacrime così cariche di dolore e nel contempo amore ed avrei voluto fossero le mie per poterle sentire come delle ali che prendono il volo per allontanarsi dal mio dolore in nome della mia libertà, lasciando indietro tutta la sofferenza che le ha generate, la tanto anelata libertà dal dolore e dalla sofferenza che è in me. Spesso mi sono trovata a fare i conti con quel pianto dal sapore amaro ma nella solitudine della mia stanza mai in una situazione di gruppo.
Credo che nel gruppo, nel nostro gruppo, che ci vede riuniti solo per il desiderio di raggiungere il tiolo di psicoterapeuti, si sia creata un’energia carica di emotività la quale non esita e non si perita ad uscire come a voler testimoniare un riconoscimento nell’altro come qualcosa di noi.
Sono contenta di essere parte di quel “noi” ed a mio modo, di aver preso ogni singola cellula di quelle belle lacrime ed averla fatta mia, portata nel mio dentro a imperitura memoria di quei visi cosi fortemente segnati dall’emozione di quel momento.
BIBLIOGRAFIA
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Cannon, W.B., (1927). “The James-Lange theory of emotions: A critical examination and an alternative theory”. The American Journal of Psychology. 39: 106–124. doi:10.2307/1415404.
Damasio A., “L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano” (1995) Adelphi, Milano.