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Se la rappresentazione che l’atto del cavalcare offre serafica ad un normale osservatore, fornendogli spunti più o meno vaghi sui quali soffermarsi, la rappresentazione pittorica di Fillide ed Aristotele, appare con tono decisamente meno interpretabile e più diretto nell’esplicarsi di quel suo erotismo.

In questo dipinto del 1300 toscano , l’artista, senza parafrasare, narra una situazione erotica con il dichiarato intento che essa facesse da monito alle notti del podestà che ha commissionato l’opera stessa …
Qui appare una giovane donna Fillide con tanto di frustino, quasi nell’atto di voler sodomizzare nel caso specifico, Aristotele, in quadrupedia, legato con serraglio in bocca , al volere della giovane. L’esternazione del gioco erotico è qui evidenziata dall’atto del cavalcare come allegoria dell’atto sessuale e dalla nudità manifesta dei due corpi che insieme si apprestano al ludico piacere.

L’ erotismo scatenato dal cavalcare un qualcuno, si ravvisa in quella forma di sottomissione che riporta al bisogno del controllo sull’altro in una forma condivisa tra controllo e controllato, forza e debolezza , attività e passività, sadismo e masochismo. La polisemia della rappresentazione Fillide – Aristotele, narra quindi non solo la cavalcata equestre intesa come gioco, ma bensì, l’atto sessuale contornato dalle sue tante sfaccettature. Qui è rappresentato un ribaltamento dei ruoli sessuali, dove è la donna ad esercitare il potere sull’uomo, ed una sottomissione dello stesso che soggiace al desiderio femminile agendo il suo piacere di aggiogato.

Nelle forme rappresentative, la sessualità ha spesso bisogno di essere resa latente e oscura ai più, con il chiaro intento difensivo verso quel piacere al quale l’essere umano non può sottrarsi ma del quale non è libero di godere. Il poter non vedere, non desiderare, non avere mette in guardia la persona da quelle che sono le proprie paure e conseguentemente poterle nascondendole a se , o per meglio dire, trasponendole altrove, in luoghi sicuri dove la mente può percepire ma non comprendere, diventa espressione salvifica per l’individuo