Eros e distruzione, malgrado siano due termini con significati nettamente in contrasto, convengono
ad uno stesso concetto appartenente, come tanti altri dicotomici concetti a tutti noi.
La scelta di un concetto psicologico, per la realizzazione del mio elaborato, si è soffermata sulla
parola Eros inducendomi a riflessione istintivamente gradevoli.
Quante volte però una parola dal così evocativo buon significato, può venir accostata al termine
distruzione anche laddove la patologia pare esserne lontana. Appare paradossale: distruzione
affiancata ad eros … invece, da un analisi poco più approfondita, non risulta cosi distante.
L’uno rappresenta l’affettuosità, la passione, la tenerezza l’altro la fine, la morte e le nostre
cronache ci riportano di innumerevoli casi ove, in nome di quell’amore, si ottiene una vittima,
colpevole solo di aver scelto un allontanamento in virtù di un amore finito o che non meritava più di
essere portato avanti.
Si crea cosi, una colpevole la quale deve essere cancellata fisicamente psichicamente annientata
per mano di un carnefice che mette in scena la distruzione per esser stato privato della possibilità di
godere di un amore ed essere cosi posto dinnanzi alla sua incapacità di reggere tale
frustrazione–dolore tanto da dover concludere l’esistenza della fonte di tanto patimento.
Come già detto, con il termine eros si intende amore, associato istintivamente a seducenti
sentimenti, a qualcosa di affascinante che coinvolge nel profondo lasciandoci prede inerbì, senza
respiro, in totale balia dell’oggetto che ci provoca tali sensazioni. Con distruzione si intende un
danno irreversibile, un grave danneggiamento o annientamento nei confronti di cose e/o persone ed
è per questo che risulta altisonante porre in relazione termini dal significato cosi in opposizione ma
cosi uniti e fortemente inscindibili per tanti aspetti.
L’attenzione qui si sofferma in tutte quelle situazioni che di patologico non hanno niente, almeno in
apparenza e che, quotidianamente, si verificano anche se solo ci tratteniamo su un pensiero capace
di generare in noi buoni sentimenti i quali possono subito dopo essere seguiti da pensieri di
distruzione capaci di terminare istantaneamente il piacere prima insorto, allora la riflessione che ne
consegue è su quante volte la distruzione genera dall’amore ?
Menzionando qui un caso limite ove un soggetto, nei confronti di un partner che rifugge dalla
relazione si arroga il diritto di morte su quest’ultimo in nome di un amore che si vuole elevare a
unico e irripetibile, decretando cosi la fine fisica dell’individuo che lo pone nell’impossibilità di
viverlo, contrariamente al suo volere, mi sovvengono altri esempi, più vicini certamente a molti di
noi, i quali possono trovare qui il loro giusto spazio di attenzione.
A tal proposito posso certo citare l’atavica lotta costante e continua contro e per il cibo, rimanendo
così in un contesto di più facile narrazione.
Il cibo !! questo conosciutissimo elemento di incessante fonte di piacere, capace di tutto , anche di
uccidere tant’è che perfino la saggezza popolare rammenta tal potere, recitando cosi un piccolo
proverbio: ”ne uccide più la gola che la spada” a imperitura memoria di quanto tale gioia orale
nasconda in se la capacità di farci passare dal piacere alla distruzione in una ben chiara
consapevolezza dell’essere che ormai, fagocitato dall’immenso godere, affonda le fauci nel tanto
anelato pasticcino goloso …
Toccando contenuti di diversa natura, mi è impossibile non menzionare il lavoro svolto da Freud
inerente al tema, dove certamente l’autore ci fornisce un punto di riflessione importante.
Sigmund Freud 1 , dopo aver posto il suo impegno su studi inerenti ipnosi e sessualità, converge sul
tema del piacere scrivendo “al di la del principio del piacere” 2 dove si evince chiaramente la
fusione di questi due concetti nella quale l’uno ha motivo di esistere in relazione con l’altro.
Freud prende il termine Eros dalla divinità greca quindi dai miti i quali ci lasciano intendere di
forze semi inconsce che solo intuiamo nel nostro profondo e che originano in noi riflessioni e
pensieri ma è dal suggerimento offerto da Empedocle 3 (poeta e filosofo del V se. a.c.) , il quale già
narrava del’intensa diatriba tra amore, amicizia e discordia, odio che Freud teorizza di forze uguali
e contrapposte :
“… I due principi fondamentali di Empedocle philia e neikos sia per il nome che per la
funzione che assolvono, sono la stessa cosa delle nostre due pulsioni originarie Eros e
Distruzione.” (Freud, Analisi terminabile e interminabile, 1937).
Eros divinità che crea, organizza ed armonizza in un volgere di azioni destinate all’originare un
qualcosa, nell’andare avanti, nel’immaginare un punto lontano al quale indirizzarsi. A questo
concetto affianca thanatos che, nella mitologia greca rappresenta la personificazione della morte,
una figura della notte che rimanda l’individuo al desiderio di estinguersi al fine di ritornare a forma
inorganica, finire la sua posizione terrena, avere termine per ultimare le sofferenze della vita.
Entrambe le simbolizzazioni, ben raccontate dalla mitologia, rappresentano le due pulsioni, pulsione
di vita ritrovata in Eros, pulsione di morte ritrovata in thanatos (da non confondere con il concetto
di destrudo ovvero la tendenza alla distruzione che si oppone alla tendenza a creare cioè la libido).
Nella psicologia freudiana l’Eros, chiamato anche libido, è quindi l’istinto alla vita, è innato in tutti
gli esseri umani ed in senso più ampio, esso non è solo in riferimento alla sessualità, è qualcosa che
va oltre, è il desiderio di creare, produrre e costruire, è teso all’ auto-soddisfazione e alla
conservazione della specie. Nella sua teoria psicoanalitica Freud oppone all’Eros l’istinto distruttivo
di morte quest’ultimo capace di generare negli uomini aggressività, sadismo, distruzione, violenza e
morte. Le due pulsioni opposte, Eros e Thanatos, convivono in uno stesso individuo e nell’umanità
tutta e sono in un conflitto necessario ad equilibrare i nostri interni.
In un celebre saggio, “il disagio della civiltà”, Freud scrive:
«Partendo da speculazioni sull’origine della vita e da paralleli biologici, trassi la
conclusione che, oltre alla pulsione a conservare la sostanza vivente e a legarla in unità sempre più
vaste, dovesse esistere un’altra pulsione ad essa opposta, che mirava a dissolvere queste unità e a
ricondurle allo stato primordiale inorganico»
La tendenza autodistruttiva come anche la facilità con la quale proviamo un sentimento di amore, è
dunque connaturata, per l’autore, all’esistenza umana stessa, inscindibile ed impetuosa nelle sue
manifestazioni come la coazione a ripetere (anche nel caso di azioni dolorose e che causano
sofferenza) anch’esso meccanismo psichico che si attiva in taluni casi, e mira alla dissoluzione
mediante l’estinzione del soggetto, in netto contrasto all’amore che rappresenta il volerci essere, il
voler vivere, il voler esistere.
Alla coazione a ripetere, come elemento facente parte di un processo in riferimento alla morte,
Freud annette altri due rappresentazioni, tre forme in tutto dell’esperienza psichica congiunte al
concetto di morte: il masochismo, il Niruana.
Con il concetto di masochismo Freud esplicita il limite della vita stessa, il volersi trovare sulla
soglia dell’esistenza in funzione di una continua ricerca del piacere dato dall’avvicinarsi alla morte,
l’avvicinarsi senza raggiungerla, senza arrivarci, il desiderio di toccare l’anelato godimento
distanziando l’istinto di conservazione e affacciandosi pericolosamente alla morte genera il piacere,
assaporare il suo profumo senza toccarla, arrivare a sfiorarla senza mai averla.
E qui, la paura di aspettarsi una punizione sulla base dei propri desideri sessuali – impulsi sadici
lascia il posto al desiderio di essere puniti ritrovando così, il tanto anelato diletto non solo del corpo
materiale .
Ora, il conflitto tra pulsione sessuale e la sua relativa inibizione, data dal contesto sociale
fortemente repressivo, non origina più la nevrosi ma fa emergere il bisogno di soffrire del paziente
e la sua soddisfazione successiva. Freud conclude aggiungendo che la sofferenza dell’individuo
masochista e la sua legata incapacità ad allontanarla da se è alla base delle resistenze del nevrotico a
guarire.
Il Niruana, ultimo punto della visione triadica sul pensiero morte, è un antico principio della
composizione fisica umana. Esso rappresenta la naturale tendenza dell’individuo fisico
all’omeostasi, il concetto di equilibrio interno al quale istintivamente il corpo umano sottende.
La tendenza alla morte, questo paradossale concetto al quale la psiche non si esime di cercare, lo
ritroviamo anche in biologia con il nome di apoptosi, concetto ben espresso da Jean Claude
Ameisen (4) nel suo trattato “al cuore della vita” un programma di suicidio a carico delle cellule, le
quali si adoperano autonomamente per terminare la propria esistenza in favore di altre nuove, una
felice, si potrebbe dire, eutanasia generatrice di vita. Con tale processo, l’organismo trae un
vantaggio ricostruendo il suo equilibrio omeostatico necessario all’ottimale funzionamento fisico.
Se troppe cellule si suicidano la riduzione significativa del loro numero porta a malattie
degenerative come l’Alzheimer, se le cellule non sono più capaci di suicidarsi l’effetto può essere
quello di una crescita spropositata del tessuto interessato giungendo allo sviluppo di una massa
tumorale.
Concludo queste mie poche righe con un accenno all’arte rammentando un celebre componimento
di Pirandello, scrittore e poeta italiano, anch’egli pone un curioso accostamento tra eros inteso come
dolcezza, anelito d’amore e distruzione, intesa come fine fisica dell’individuo quest’ultima
rappresentata attraverso l’origine di un tumore sul labbro. Un tumore il quale vuole essere quasi
paragonato ad un bacio d’amore foriero di morte: Nel 1923 Luigi Pirandello (5) scrive: ”L’uomo dal
fiore in bocca”:
“… qua sotto questo lampione… venga… le faccio vedere una cosa… Guardi, qua, sotto
questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome
dolcissimo… più dolce d’una caramella: – Epitelioma, si chiama. Pronunzi, sentirà che dolcezza:
epitelioma… La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: –
«Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!»”.
In queste versi l’autore fonde dolcezza e morte in un unico, ultimo afflato concentrando tutto il suo
racconto sull’attesa della fine vissuta come un lento e ineluttabile piacere di morire …
Siamo in vita nell’attesa della morte, amiamo sapendo che l’amore può ucciderci, moriamo per
poter essere immortali … Solo alcune frasi che racchiudono l’antitesi della vita stessa la continua
oscillazione tra il bene ed il male, tra l’essere ed il non essere, tra il vivere ed il morire, tra la dieta
il pasticcino.
Bibliografia:
1. Freud S. (1920), Al di là del principio di piacere , in OSF vol. 9
2. Freud S. (1929), Il disagio della civiltà, in, OSF vol. 10
3. Freud S. (1937), Analisi terminabile e interminabile , in OSF vol. 11
4. Ameisen J. C., Al cuore della vita, Feltrinelli Milano (2001)
5. Pirandello Luigi, (1923), L’uomo dal fiore in bocca, in Dalle novelle al teatro, a cura di Paolo Briganti, edizioni scolastiche Bruno
Mondadori, Milano (1990)