Dia-gnosi, dal greco significa conoscere, capire.
E’ la capacità di un clinico, di cogliere i tratti strutturali del paziente al fine di ricondurli e categorizzarli all’interno di un quadro clinico non necessariamente patologico.
E’ una modalità di interazione tra le parti, che sottopone il paziente ad una attenta valutazione la quale prende in esame tutti gli aspetti della persona, dal verbale al non verbale, i comportamenti, i fatti,i racconti la postura, il tono della voce, la velocità del pensiero, le dinamiche razionali e irrazionali, consce inconsce e tanto altro.
La finalità della diagnosi è quella di poter avere una visione globale attendibile e corrispondente al vero che ci “parli” inequivocabilmente della persona che abbiamo davanti e ci fornisca una sua chiave di lettura.
Inquadrare il soggetto all’interno di una categoria che possa essere il più fedelmente descrittiva possibile, può significare riuscire da parte del clinico ad entrare in un maggiore contatto con lui-paziente ed iniziare una collaborazione volta alla trasformazione delle aree messe in discussione, con particolare attenzione alle strategie da utilizzare iniziando così un certo sviluppo.
Riconoscere quelli che possono essere sia i punti di forza che i punti di debolezza e la struttura interna della persona,consente al professionista di indirizzarsi verso la scelta di una ben distinta terapia, la più adatta al paziente, alle sue necessità, la più incline ai suoi bisogni ed alla risoluzione del suo disagio.
Ma la diagnosi, come oggi viene intesa, non ha solo la funzione di “raccolta” delle informazioni ma bensì anche quella, una volta categorizzate, di poter essere condivisa con gli altri professionisti ai quali è poi possibile chiedere un intervento congiunto magari per “indirizzare” il paziente verso il clinico più adatto alla risoluzione di un determinato disagio oppure per condividere una certa diagnosi partendo da elementi certi e sostenibili , lavorare quindi in equipe …
Il categorizzare all’interno di una modalità conosciuta e riconosciuta, ad esempio la classificazione che offre il DSM-V, infatti ci permette di rendere partecipi gli esterni su un lavoro che abbiamo già messo in opera rendendo subito chiaro a tutti quello sul quale si sta ponendo attenzione. Gli esiti di quanto svolto vengono messi a disposizione permettendone quindi una fruibilità ed una comprensione più facile ed immediata grazie al linguaggio comune utilizzato, rendendo così più agevole una modalità di intervento da porre in atto.
In altre parole, la diagnosi è la descrizione della persona nella sua totalità utile per noi, per il paziente e per i professionisti.
Quanto più dettagliata potrà essere, quest’ultima,tanto più semplice potrà essere reso esecutivo un piano di intervento e/o di aiuto mirato e specifico sia alla problematica rilevata che all’eventuale disagio ravvisato.
Fanno parte della diagnosi altri elementi come l’anamnesi e la diagnosi differenziale.
Nell’anamnesi vengono prese in considerazione anche i vissuti dell’individuo pertanto, l’attenzione dello specialista, non è volta solo al qui ed ora ma considera tutta la storia del soggetto nella sua interezza. Si considerano le malattie trascorse della persona, sia sue che degli altri membri familiari, si considerano le relazioni, gli affetti presenti e passati, i disagi, traumi, lutti ed anche sul piano pratico vengono raccolte informazioni che riguardano parto e gravidanza, stato di salute e malattie dei genitori e dei nonni, in sostanza un‘ampia raccolta di tutto ciò che è utile a “formare” il soggetto che abbiamo davanti, un resoconto che vede come protagonista l’intera genealogia della persona.
Diagnosi differenziale invece presuppone un ragionamento di esclusione, di differenziazione tra due possibili scelte che appaiono simili per alcuni aspetti.
Diagnosi orizzontale, verticale, diagnosi trasversale … tutti modi che rimandano al concetto in generale ,del conoscere , del comprendere, del capire.
La diagnosi, nella sua accezione più ampia, è quindi applicabile a più discipline ed il suo utilizzo appare così essere trasversale.
Entrando nello specifico, avendo visto in cosa consista il processo diagnostico non è sbagliato affermare che la psicologia è la scienza che studia i vari comportamenti ed i processi mentali che vi sottendono, la psicodiagnosi è la comprensione della struttura di base della persona, del suo funzionamento, della sua costruzione in relazione quindi ad un funzionamento mentale, psicologico dell’individuo.
La diagnosi consta di alcuni passaggi obbligati : l’osservazione, la raccolta, la formulazione.
Il processo diagnostico è un procedimento, potremmo dire, abbastanza rapido di raccolta delle informazioni a carico del clinico il quale, per svolgere meglio le sue funzioni, si avvale di più strumenti: l’osservazione , la quale può essere fatta in modi ed ambiti diversi, la relazione verbale fatta di domande aperte e/o chiuse, la testistica, ovvero formulazioni di test o questionari che indagano aree specifiche del soggetto come ad esempio, la relazione, l’affettività, meccanismi di difesa e quant’altro.
All’interno di un quadro diagnostico completo vengono quindi racchiuse tutte le informazioni recepite dal professionista, una sorta di mappatura sul paziente al quale viene poi fatta una restituzione, il più fedele possibile alla sua persona e si può quindi iniziare la seconda fase della relazione passando dalla diagnosi al trattamento, ovvero il percorso terapeutico specifico se richiesto.
La diagnosi pone le sue fondamenta su cinque basi importanti:
– diagnosi intrapsichica
– diagnosi relazionale
– diagnosi di equilibrio mente-corpo
– visione sistemica
– trasmissioni familiari: intergenerazionali – transgenerazionali
Punti fondamentali di una diagnosi non prescindono tuttavia da un autodiagnosi.
Il paziente deve essere sollecitato a raccontarsi ed a far comprendere al clinico la sua personale visione del suo disagio affinché il clinico possa restituire senso alla sua storia e fornire informazioni sull’eventuale trattamento. Questa modalità di interazione, che vede coinvolto nell’ascolto il clinico su quanto riporta il paziente, ci permette oltre che fornirgli sostegno, fornirgli anche un modo per dare significato sia ad egli stesso che a quanto egli porta, condizione necessaria al fine di poter raggiungere un buon processo diagnostico.
All’interno di un contesto diagnostico diventa rilevante soffermare la nostra attenzione su quegli elementi che riteniamo utili per la diagnosi. L’esame di realtà appare il primo fondamentale parametro di inquadramento del soggetto in grado di fornirci quindi una visione specifica sulla quale avanzare nella nostra indagine.
Una volta accertato che il paziente si colloca in maniera obiettiva in un senso comune di realtà è utile procedere indagando meglio il funzionamento delle varie aree di struttura.
I sintomi, lo stile di attaccamento, la modalità di relazione,ma anche il transfert, il narcisismo, i meccanismi di difesa utilizzati, sono tutti elementi caratteristici atti ad individuare precisamente quello specifico paziente in quello specifico momento storico.
I modelli salienti che oggi riteniamo utili al fine di produrre una valida diagnosi possono essere sintetizzati di seguito:
- Senso di realtà- esame di realtà
- Funzioni ed integrità dell’Io e ideale dell’Io
- Struttura della personalità NBP
- Es, S.I, inconscio: conflitto tra istanze e pulsioni
- Il Sé
- Tipo di angoscia
- Processo di separazione – individuazione
- attaccamento
Quest’anno abbiamo iniziato un percorso di studio della diagnosi. Personalmente non avevo mai approcciato in maniera così significativa con l’argomento, un approccio tecnico e concreto.
Ho trovato estremamente utile il poter avere,in un tempo futuro, gli strumenti mentali e di conoscenza specifici per poter giungere autonomamente ad una diagnosi.
Lo studio della materia e di come attuarla sul piano pratico,ci consente di progredire in qualità di professionisti e ritengo dovrebbe essere strumento in mano di ogni psicologo che eserciti tale professione. La diagnosi è in concreto, non solo un aiuto per se stessi ma pone anche il paziente nella condizione migliore di accogliere se e le proprie difficoltà in maniera diversa attraverso una conoscenza di come avvengono determinati disagi o del perché scattano alcuni nostri atteggiamenti.
E’ certamente il primo passo verso una risoluzione.
E’ un punto di partenza sull’individuo che si muove a cerchi concentrici esplorando tutta la superficie della persona, prende in esame i punti delicati sui quali attuare un certo percorso ed identifica quelli più ostici sui quali intervenire in maniera più complessa ma espone la persona anche all’individuazione delle sue caratteristiche e dei suoi poli di eccellenza, pone rilievo sulle sue capacità, sulla sua resilienza.
Per conto mio, sono rimasta molto colpita dalla possibilità che un unico colloquio, o poco più, fornisca cosi tante informazioni sull’individuo, informazioni sia acquisite che desunte le quali si intersecano tra loro e formano atri punti di informazione, sagomando “la persona”. Gli stili di attaccamento,ravvisabili nei comportamenti amorosi piuttosto che nelle relazioni amicali, i meccanismi di chiusura i quali rimandano a difese primitive o secondarie, incapacità di accettazione o la semplice difficoltà nel piangere diventano elementi fondamentali atti ad inquadrare la persona in un modo o nell’altro, mantenendo sempre vigile la nostra valutazione e soprattutto riconoscendole la suscettibilità di errore, almeno in una “nostra” fase iniziale di diagnosi …
A tal proposito ritengo difficile fare una gradazione delle cose che a mio avviso sono state più significative di altre, ritengo invece che tutto il processo diagnostico sia davvero fondamentale ed importante per poter svolgere al meglio la nostra professione.
Credo fermamente che uno degli strumenti più utili che la scuola ci stia fornendo sia proprio la capacità di renderci autonomi nella stesura della diagnosi dalla quale a mio parere diventa difficile prescindere.
Oggi non ritengo di avere, mio malgrado, la capacità di formulare una diagnosi cosi accorta e dettagliata come quelle effettuate in classe. Mi accorgo di avere parecchi punti sui quali dovermi soffermare e, con profonda sincerità, forse anche ristudiare. Uno degli argomenti a me ostici è sempre stato quello dei meccanismi di difesa.
In aula mi sono resa conto di avere delle problematicità in tal senso, ho avuto dei ripensamenti sulla mia capacità di individuare nell’altro i suoi meccanismi di difensivi e per tanto, in più occasioni mi sono ritrovata a non essere in grado di comprendere quali fossero.
Non credo sia una questione solo di studio, i meccanismi di difesa li conosco, conosco il loro inquadramento ma non sono in grado di ravvisarli nell’altro. Spesso sono sottili e indecifrabili, facilmente fraintendibili o, nei casi migliori, discutibili.
Certo, la testistica risolve ma vorrei essere in grado di poter avere un’idea abbastanza sensata in merito senza dovermi appoggiare allo strumento concreto. Vorrei capire meglio il ragionamento di base che sottende ad ogni difesa e rendermi sempre più autonoma. Ho intrapreso questo nuovo cammino scolastico con autentica motivazione ed oggi mi accorgo di essere sempre più contenta e convinta della scelta che ho fatto.
Vedo davanti a me qualcosa che mi piace molto.